E‘ tutta una questione di autoefficacia
- Posted by Ufficio Stampa
- On 05/01/2016
Il coaching, è l’arte di fare emergere il potenziale del cliente attraverso brevi domande e soprattutto attraverso l’ascolto attivo.
Le radici del coaching risalgono alla Maieutica Socratica o l’arte della levatrice. Socrate sapeva di non sapere e per questa ragione non dispensava verità ai suoi discepoli, ma li conduceva a partorire la verità insita in ognuno di loro affiancandoli nella ricerca interiore.
Il coaching umanistico mette al centro della comunicazione il cliente, con un rapporto asimetrico-complementare. Il Coach non dispensa verità, non risolve problemi, non è protagonista della sessione. Il vero e unico protagonista è il cliente ,che accolto, ascoltato e accompagnato nella fase di comunicazione, riesce a trovare attraverso un metodo indotto dal Coach le possibili soluzioni al suo problema.
Per autoefficacia si intende “la convinzione delle proprie capacità di organizzare e realizzare il corso di azioni necessarie a gestire adeguatamente le situazioni che si incontreranno in un particolare contesto, in modo da raggiungere gli obiettivi prefissati”. Andrò ad analizzare a fondo il ruolo dell’autoefficacia nel contesto lavorativo. A parità di intelligenza e abilità specifiche, la persona con un forte senso di autoefficacia sceglie obiettivi più elevati, è più motivata, usa le proprie capacità con maggiore efficienza, è meno ansiosa, gestisce meglio i fallimenti, è più tenace e, alla fine, ottiene risultati significativamente più soddisfacenti di chi ha invece una percezione negativa delle proprie possibilità.
A questo punto, viene da pensare: Autostima e Autoefficacia, sono la stessa cosa? Sicuramente l’autoefficacia va a nutrire l’autostima ,innescando così un circolo virtuoso.
Ci sono persone autoefficaci che non sanno di esserlo? Sicuramente sì e l’abilità del Coach sta nell’indurre il cliente a cercare tra le sue esperienze i momenti in cui ha attinto da questa sua potenzialità.
In molti casi i clienti che si affidano ad un Coach Professionista, anche se potenzialmente sono autoefficaci (e si è verificato), vivono un momento di crisi di autogoverno, che di per se porta a situazioni di insicurezza in qualsiasi ambito esso si verifichi. Nella maggior parte dei casi, questa tipologia di cliente ha già la soluzione dentro di sè, il Coach ha il compito di far riportare in superficie quelle che sono state le azioni fatte nel passato che hanno prodotto risultati positivi, determinando nel cliente uno stato di soddisfazione e di consapevolezza: di Autoefficacia.
Nella mia esperienza di gestore di risorse umane, mi è capitato spesso di trovarmi di fronte a persone capaci di raggiungere obiettivi anche sfidanti, ma bloccati da uno stato psicologico chiamato “Zona di comfort”. Lavorando per una Multinazionale Americana, gli obiettivi da raggiungere ogni anno erano decisamente ambiziosi ma raggiungibili. Mi capitò all’epoca di gestire una equipe particolarmente valida, eravamo alla vigilia del lancio di un farmaco importante e bisognava avere una strategia ben chiara che ci portasse all’affermazione del prodotto sul mercato.
Ovviamente esistevano linee guida ben precise dettate dall’azienda, fondate sulla organizzazione giornaliera ,settimanale e mensile di ogni uomo presente sul territorio.
In quella circostanza, notai tra gli uomini una certa diffidenza a proposito della strategia aziendale. In particolare Gennaro, che in quella equipe e dalla stessa azienda era considerato un low performer, era colui che si sentiva meno motivato a causa delle sue performance solitamente negative.
Ero arrivato da poco come Area Manager, conoscevo i risultati di ogni uomo, ma non sapevo come li avevano ottenuti. Cominciai dal più debole “Gennaro”. Prendemmo un appuntamento e decidemmo insieme cosa, come e quando cominciare il lancio del prodotto. Avremmo lavorato insieme per le prime 2 settimane in affiancamento per 4 giorni a settimana. Cominciammo e Gennaro era metodico, conosceva bene il territorio, era bene accolto dalla classe medica, a farla breve aveva tutte le caratteristiche per poter avere dei buoni risultati. Perché allora le sue performances erano appena sufficienti? Il suo rapporto con i colleghi e con gli Area Manager che mi avevano preceduto era fondato sulla scarsa stima che avevano in lui e questo Gennaro lo aveva percepito e sicuramente lo viveva male. Allora gli chiesi cosa facesse nella vita extra lavorativa, all’epoca aveva 60 anni, come hobby praticava il volo con il deltaplano ,si lanciava da posti impossibili con la semplicità con la quale io scendo le scale. Gli chiesi cosa lo spingesse a fare quello sport così pericoloso e lui mi rispose che ogni volta per lui era una sfida con se stesso e la sua conoscenza dei venti e delle tecniche di volo lo rendevano sicuro e pronto ad ogni nuova esperienza. Questo per me fu un’illuminazione: Gennaro non era un insicuro, era semplicemente confuso. Gli chiesi: Quanti medici pensi ti stimino veramente come professionista e come uomo? Lui mi fece un elenco. Gli chiesi cosa lo aveva indotto a fare quell’elenco e mi rispose che durante il suo percorso lavorativo aveva potuto constatare che in quelle zone dove c’erano i suoi “ Amici” i suoi risultati erano migliori. A questo punto gli domandai cosa avrebbe potuto fare di diverso rispetto al tuo vecchio metodo lavorativo, Gennaro mi rispose che intendeva visitare più volte quei medici a discapito di altri, ma aveva paura che non visitando ¾ del suo schedario non potesse raggiungere l’obiettivo prefissato dall’Azienda. Gli chiesi: Cosa ti spinge a lanciarti da nuove vette? Lui mi rispose: Nuove emozioni. Gennaro partì per lanciarsi in questa nuova avventura, nel giro di 3 mesi diventò il best performer Italiano e da allora ogni lancio di un nuovo prodotto vide Gennaro posizionato ai vertici della classifica Nazionale.
Mi è capitato spesso nella vita di pensare alla mia autostima e da cosa fosse determinata. Non conoscendo il coaching umanistico, non ho dato mai una definizione chiara e precisa, ad ogni modo mi appellavo spesso a ciò che avevo realizzato ma soprattutto a come mi trattava chi mi conosceva.
Per ragioni personali o meglio familiari, fino a 23 anni, il mio obiettivo è stato dimostrare agli altri e a me stesso di valere. Dopo la morte di mio padre, lascio l’Università di medicina e inizio a lavorare. In pochi anni riesco a diventare Area Manager e a gestire varie regioni d’Italia con ottimi risultati.
Comincio ad avere fiducia in me e in quello che faccio, ad avere consapevolezza dei miei mezzi e dei miei modi e soprattutto dei risultati ottenuti. Questa consapevolezza, mi spinge ogni volta a provare cose nuove, a pormi obiettivi sfidanti, a non valutare impossibile ciò che non conosco, a credere in me e a fare sempre un passo avanti e poi ancora uno fino al raggiungimento del traguardo.
Il corso per diventare Life Coach con Prometeo Coaching, mi ha dato la possibilità di riconoscere i miei skills, le mie potenzialità e un metodo utile per aiutare gli altri a portare fuori il meglio di loro con il fine di raggiungere la felicità. Tornando all’Autoefficacia, mi rendo conto che è la benzina che fa muovere la macchina dell’autostima e che il distributore più vicino è dentro di noi. Ma come si fa a fare il pieno di autoefficacia? Se è vero che il distributore è dentro di noi, è altrettanto vero che molte volte non riusciamo a trovarlo.
Il compito del Coach, attraverso la sua attività di facilitatore, mette in campo tutte le strategie utili affinché ognuno possa riconoscere e attivare le proprie potenzialità. Come? Grazie ad un processo che stimola il cliente a cercare attraverso le sue esperienze, i momenti in cui ha dato fondo a quel determinato modo di essere che lo ha portato al raggiungimento di un obiettivo. Sembra a questo punto ovvio dire: l’Autoefficace ha una marcia in più. E questo è vero, anche se non nasciamo tutti autoefficaci, per questa ragione diventa importante trovare il modo per avvicinarsi sempre di più all’autoefficacia e quindi all’autostima.
Nel processo di coaching , ci troveremo spesso clienti demotivati, tristi, insoddisfatti, infelici,
pensate per un attimo a cosa potrebbe succedere dentro ognuna di queste persone se autonomamente nelle sessioni con il Coach riuscissero a trovare le motivazioni, le azioni e le soluzioni ai loro problemi. Il valore di una cosa conquistata da soli è enorme, potersi dire: “Ci sono riuscito, ce l’ho fatta, ho risolto, questo è quello che volevo, tutto ciò è una soddisfazione personale non attribuibile a terze persone”. Questo è quello che alimenta la credenza di ogni essere umano, che la felicità si possa raggiungere, che la felicità è dentro di noi, che la felicità va cercata dentro di noi nella maniera giusta.
Il costrutto di autoefficacia (self-efficacy) è stato elaborato da Albert Bandura [1986] e la sua definizione esprime delle percezioni soggettive a proposito di Qualità possedute rispetto alle richieste del compito tenendo conto della sua complessità e le condizioni per svolgerlo (competenza percepita), aspettative di ottenere un esito positivo, salienza del compito e della situazione rispetto alle proprie skills .Secondo Bandura l’autoefficacia (self-efficacy) ha tre dimensioni:
- generalità: ovvero il grado in cui l’autoefficacia si generalizza, si estende, si trasferisce di situazione in situazione
- la forza: grado di certezza della percezione di autoefficacia
- il livello: cioè il grado in cui risulta alta la percezione di controllabilità della situazione.
L’autoefficacia si inserisce all’interno della teoria dell’apprendimento sociale, deriva dai fattori di esperienza e di apprendimento sociale, in particolare è necessario distinguere l’aver affrontato con successo compiti analoghi a quello attuale oppure ad aver potuto modellare comportamenti che hanno avuto una realizzazione positiva in compiti similari (apprendimento vicariante). Se non è del tutto possibile isolare quali siano le determinanti del maggiore successo degli ottimisti, la teoria dell’autoefficacia percepita è corroborata da numerose ricerche empiriche e sperimentali:
- la modificazione dell’autoefficacia percepita determina modificazioni significative nei livelli di prestazione: umore, impegno, efficienza nei processi di pensiero, benessere soggettivo e stato di salute;
- può essere opportunamente rafforzata;
- l’autoefficacia è sempre specifica a un ambito di attività, prove, situazioni, dunque l’autoefficacia può variare al variare degli ambiti in cui la consideriamo.
Si distingue dall’ottimismo e corrisponde alla convinzione di “sapere di saper fare”.
È possibile incrementare l’autoefficacia percepita mediante programmi d’intervento che comprendono quattro step:
- la persuasione: è necessario che la persona si persuada della possibilità di riuscire mediante l’acquisizione di informazioni, la ricognizione dei propri punti di forza e di debolezza, è il vaglio della situazione; infine il confronto con gli altri è il riferimento al comportamento agito;
- l’imitazione
- l’esecuzione
- la monitorizzazione delle reazioni corporee che a volte si accompagnano all’esecuzione di un’attività
In genere le persone con un basso senso di autoefficacia percepita, evitano i compiti impegnativi i quali vengono percepiti come elementi di minaccia. Generalmente hanno bassi livelli di aspirazione e si impiegano moderatamente nel perseguimento degli scopi, in situazioni problematiche tendono a focalizzare sulle proprie debolezze, sugli ostacoli delle situazioni, sull’avversità degli esiti. Accade invece il contrario negli individui che hanno un alto livello di autoefficacia percepita. Queste sono generalmente attratte da compiti difficili che sono rappresentati come occasioni per mettere alla prova le proprie capacità. In queste personalità riscontriamo alti livelli di aspirazione e impegno nelle attività volte al raggiungimento degli scopi prefissati.
Concludendo, l’autoefficacia è il prodotto di un’azione, l’azione è il frutto di un bisogno, il bisogno produce uno stato di insoddisfazione, il coaching è applicato in contesti in cui si vuole cambiare una situazione di stallo e andare verso il proprio obiettivo.